Autore Topic: Danza macabra  (Letto 6130 volte)

- Ramingo -

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Danza macabra
« il: 21 Maggio 2007, 11:51:56 am »
Ciao!
Non ci sono né cappa né spada né combattimenti, è parto di un impegno con altri amici a scrivere qualcosa, su tema diverso stabilito a turno, ogni settimana, con scadenze ben precise, e l'ho scritto e rifinito ieri notte in un'oretta e mezza, così, piuttosto che ritoccarlo all'infinito perché insoddisfatto, lo posto qui così potete effettuare lanci vari di ortaggi marci :P

Il titolo non è mio, non ne aveva, ed è il primo racconto così breve che scrivo, né lo stile è quello che uso di solito. Sperimento insomma.
Se piace o almeno non da fastidio, continuerò a metterli man mano che li scriviamo. Se poi mi permettono di mettere qui anche quelli che mi mandano, farò lo stesso citando l'autore.
Poi se siete curiosi o interessati, mi date la vostra interpretazione di cosa sia e io vi dico il tema e cosa avevo in mente quando l'ho scritto.

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Scendeva lungo il pozzo, con passo sicuro su gradini logori, un braccio teso avanti a reggere alta la lanterna, l’altro piegato di lato, la mano delicata a scorrere, quasi a carezzare, la parete, facendo attenzione a non disturbare né danneggiare la polverosa cianfrusaglia lungo il percorso. Se avesse voluto concentrarsi forse avrebbe potuto riconoscere, solo sfiorandole, le singole pieghe e scanalature, le svolte, le contorsioni del percorso, gli incroci, gli oggetti sparsi sul cammino, anche senza alcuna luce, o almeno così pensava a volte quando la sua presunzione aveva la meglio sulla parte più saggia di se. Dopotutto, si sarebbe detto con un senso di cupo compiacimento, ci sono stato tante di quelle volte, dovrei conoscere la strada.

Ma non era mai così. Anche se vi era caduto dentro più volte di quanto potesse o volesse contare, vuoi dal suo vagare senza meta per quel luogo, vuoi perché da fuori o da dentro qualcosa di inatteso ve lo aveva scagliato all’improvviso, qualcosa a volte talmente piccolo come un tocco un gesto unsoffiodiprofumo (no, no non ora, Concentrati). Anche se vi aveva dimorato lì dentro, nella tenebra, per eternità dove il tempo acquistava un diverso significato e sapore, ore lunghe giorni lunghi mesi, finché si era rialzato, aveva ritrovato la strada verso l’alto e infine a guardare fuori, il mondo. Anche se, come stavolta, religiosamente, vi ritornava per sua scelta, a celebrare qualche impalpabile ricorrenza neppure a lui ben chiara. Neppure adesso che ricalcava passi noti, scendendo gradini segnati da mille passaggi, la strada era identica a se stessa, né nelle svolte, né nei ritrovamenti.

Se avesse voluto concentrarsi avrebbe potuto dire che no, forse era stato un blu quello che ora appariva verde su quel maglione, lì poggiato sulla sedia a dondolo, ma con l’affievolirsi della luce l’unica cosa di cui era certo, non che gli importasse realmente del resto, era che si trovava davanti alla giusta porta. Certo, forse la maniglia non aveva avuto quella forma, ma riconosceva la sensazione, nello stringerla. Quell’odore, come di pane fresco, sospinto appena dall’aria, era sempre stato proprio così? Non avrebbe saputo dirlo, non che avesse mai avuto particolarmente naso per i profumi. Non che avesse realmente importanza. Forse.

Sapeva di star seguendo la strada giusta, però, non tanto perché l’abisso non era mai distante, come quando a volte vi si affacciava da una finestra, o lo accompagnava lambendolo. Anche quando non lo scorgeva, poiché sempre cercava un percorso che lo portasse lontano, ma sempre i suoi passi ne sembravano calamitati, sentiva dentro di se che non era mai lontano.

No, era perché il suono, (ah, ricordo) quello era sempre lo stesso, e la voce lo chiamava come una sirena, a volte dolce, a volte divertito, a volte irritato, sempre lievemente roco e sensuale. Le parole potevano diventare vaghe e incerte (alcune, però, non le scorderò mai), intrecciarsi con altri, confusi, sottofondi, sfrecciar rapide o trattenersi, echeggianti, nell’aria immobile. Talvolta non era neppure sicuro che fossero state in quell’ordine, o che alcune non le avesse solo immaginate. E quante, si sarebbe chiesto un giorno, tempo fa, di importanti erano state perse, e di sciocche erano state dette invece.  Ma il senso, no, gli era chiaro, il senso di ogni frase, lo ricordava bene, e quella lenta sinfonia di suoni e sensazioni, quelli erano la sua guida. Anche se ogni volta sembrava impercettibilmente più difficile arrivare, avrebbe giurato in un momento di lucidità.

Inspirò, facendosi coraggio, e lasciò la luce sull’ultima soglia, riprendendo a scendere. Il buio sembrava colorarsi di mille sfumature.
Opprimente, il pozzo sembrava avvolgerlo e gravare attorno a lui, come a schiacciarlo con l’assenza di luce, invitandolo a fare un passo falso e rotolare, giù, nel nulla, precipitosamente. E poi, ove mai fosse giunto sul fondo, avrebbe potuto rannicchiarsi e fermarsi a far compagnia a tutti i suoi fantasmi e le sue colpe, ai suoi affanni e alle sue gioie, abbandonati forse, seppelliti nella polvere e nella cenere, certo, ma mai dimenticati.

(Stavolta no) Strinse i pugni, vuoti, e strappò sguardo e passo dal vuoto, riportandoli sul sentiero. Aprì la porta. Lei era lì, bellissima, ammantata dal gioco delle ombre di candele, svelata e celata a tratti, i suoi occhi, il suo viso, il suo corpo, sfuggente eppure lì, avvolta dal sentore di profumi e sapori (Tesoro mio, sono qui, ancora). Danzarono stretti, come ogni volta, unica compagnia i dolci e strazianti suoni di archi e le loro voci (Mi manchi, sempre) Più tardi, nel suo cinismo, avrebbe riconosciuto come sempre i troppi cliché caduti come veli traslucidi sulla realtà sfocata, a sfumare e rimodellare curve, sensazioni, frasi con pezzi rubati dal frastuono del circo della vita, lassù. (Ma adesso no, tutto questo non ha importanza) Ora, semplicemente, la stringeva, per l’ennesima volta, in quella giovane notte lontana.

Più volte lei fece come per andarsene. Più volte lui la riprese e ricondusse nella stessa danza. (Restiamo un altro poco assieme) L’abisso continuava insistente a chiamare, senza fretta, pericolosamente vicino, nascosto dietro giusto una o due porte, appena al di là di un giro o due di musica. (Non lasciarmi ancora, o ti seguirò dove non voglio)

Poi le sorrise, riconoscendo una diversa chiamata, dolce e dolorosa assieme nella sua invadenza. Lei ricambiò, sciogliendosi intanto nel suo abbraccio, per svanire in una danza di ombre di falene. (Ti amo, come allora)

E lui, passo dopo passo, seguendo la diversa voce,  attraversando la tenebra, il labirinto, l’abisso, riemerse al  mondo

(A cosa pensavo, tesoro? Nulla, giuro, vecchi ricordi)

Raffaele
(aka Shadowchaser o Cantoredombre)
L'Onta del Signore - Mozzarellaro Serial Killer
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... era preferibile che i terrestri continuassero ad odiare altri terrestri, con tutti i vantaggi del caso, non ultimo la reciprocità.
Baol