Autore Topic: Memorie di un bastardo  (Letto 13165 volte)

Alberto

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Memorie di un bastardo
« il: 17 Agosto 2012, 10:20:07 pm »
Pubblicato su un forum di RPG on line, i riferimenti meno comprensibili sono legati a situazioni note ai soli giocatori.

°°°


Il  mio nome è Berton, Berton Berton, divenuto ufficiale senza esser nato gentiluomo.

Mi battezzarono così i frati di San Miguel che, per mia fortuna, possedevano alcune capre il cui latte non mi risultò indigesto nei primi giorni di vita.
Essere allevato in una piccola comunità monastica offre vantaggi che non son dati a tutti gli infanti abbandonati. Innanzi tutto sopravvivi, il che non è poco. Poi cresci in vigore e salute grazie ad una alimentazione sana e abbondante e, a suon di salmi e scappellotti, ricevi un'istruzione che difetta anche a gente di illustre casato. Inoltre impari a padroneggiare ogni mestiere, perché il monastero è organizzato in guisa da esser perfettamente autosufficiente.
L'unico mestiere che, di norma,  colà non viene insegnato è quello delle armi, ma le regole sovente soffrono di eccezioni e la nostra eccezione era Herman Jacques, un anziano templare aggregatosi a San Miguel negli anni della mia adolescenza.
Scorgendo in me buone potenzialità, egli chiese ed ottenne dal Priore il permesso di tramandarmi le arti sue, sicché al diuturno orare et laborare si aggiunsero, per me, le pratiche marziali.
Herman Jacques ne aveva davvero fatto un'arte, perché  il suo approccio al combattimento – in armi o senza -  faceva assai più affidamento sulle virtù dello spirito che non sul vigore delle membra; prevedere o provocare l'altrui attacco, pararlo o schivarlo di misura, e assestar la  botta a colpo sicuro gli veniva altrettanto spontaneo e non più faticoso del respirare.
Purtroppo Theos lo chiamò a sé  pria che potesse formarmi come avrebbe voluto,  per cui molto ancora mi resta da imparare.
Ad ogni modo, vedendo che avevo maggior vocazione per le armi che non per la vita monastica, il Priore mi impartì  la sua benedizione e mi affidò al secolo con una lettera di raccomandazione indirizzata al Conte Jordi de Tossa.

Ad ulteriore conferma che le regole son fatte per essere infrante, la lettera del Priore mi valse l'ammissione fra i Montesa, ove divenni compagno d'armi di due nobili giunti dall'Italia
Eran costoro l'estroverso Fabio Massimo ed il taciturno Carlo Colonna,  valenti cavalieri con cui avrei di lì a poco condiviso varie avventure. Italiani con antenati in Scozia, li sfottevo io, essendovi forza oscura che impedisce all'argento di sostare a lungo nelle mie tasche.
Dopo la campagna che ci vide entrare in Roma con l'esercito di conquista, sull'intera  Aragona iniziò a calare una sconfortante apatia, largamente imputabile all'inerzia del Re.
Ad accrescere le nostre sventure, il Conte de Tossa si lasciò morire - quasi avesse perso gusto alla vita – dopo l'inatteso decesso di un suo giovine amico. Con lui spariva quella che mi parea esser la forza più vitale del regno per cui, amareggiato dalla sua scomparsa e disgustato dai pettegolezzi che ne seguirono, volli tentar la sorte oltre confine.

Avrei potuto stabilirmi in Francia, ove risiedevano alcuni miei conoscenti – fra cui l'insondabile Cancelliere e quel Condé noto per proverbiali cadute da cavallo – ma scelsi le Fiandre perché un gioviale mercante vichingo mi disse che avrei potuto arricchirmici anche sol facendo il  taglialegna. L'indicazione non era sbagliata, ma ne ricavai meno del previsto perché vi fu sciagurato che iniziò a vendere sottocosto, e dovetti adeguarmi.
Durante la mia breve permanenza in quelle contrade feci  anche strage di ribelli e fui onorato di offerte assai lusinghiere che, tuttavia, non ero in condizione di poter accettare.

In ogni caso, restavo un Montesa e Fabio Massimo, che ne aveva assunto il magistero, si ricordava benissimo di me; mi convocò una prima volta in soccorso di Milano, poi per una azione diversiva in Monferrato, ed infine mi convinse a tornare in patria.
La situazione non era  migliore di quando ero partito, Re Carpegna parea sempre più mummia che vivente, e tal sua condizione avea contagiato l'intera città. Noi, comunque,  potevamo almeno tener alto l'onore del Regno sostenendo gli alleati di Castiglia  nelle loro campagne contro i ribelli; un impegno che accettai di buon grado, essendovi stato incoronato  un vecchio cliente, Giovanni Pignatelli,  che aveva chiamato  i due parigini di cui ho detto a responsabilità di governo.
Rimasi stupito nel vedere Burgos, pochi mesi prima squallidissima, come rifiorita. Commentai con Carlo tutti i cambiamenti che avevo notato e, dopo un tempo che mi parve lunghissimo, lui si limitò ad osservare: “qui hanno un nuovo re”.
Le operazioni contro i ribelli vennero sospese quando dovemmo schierarci a difesa contro una minaccia di invasione genovese, ma la questione venne poi appianata senza spargimento di sangue.
Sulla via del ritorno si aggregò alla nostra colonna il mio amico vichingo, diretto a Valencia per conferire con Re Carpegna. Il Von Luxemburg gli aveva delegato alcuni incarichi, il che mi parve tanto strano qual sodalizio fra diavolo e acqua santa.
In ogni caso non avemmo modo di sviscerare la questione, perché gli eventi presero una piega del tutto inattesa.


Poco ho da aggiungere alle cronache ufficiali sulla rivolta contro il Carpegna.

La mummia incoronata avea passato il segno, e se non lei i loschi figuri che ancora  la animavano.
Noi Montesa forzammo la volontà del nostro Gran Maestro acciocché sottraesse lo scettro a tanta putredine, il popolo tutto si unì alla nostra prece, e persino il giudice, il direttore dell'accademia ed il Vassallo di Valencia si schierarono con noi.
Quest'ultimo, ritengo, ci seguì a malincuore, avendo divisato  di poter esser egli stesso a risollevare i nostri destini, ma poiché pronto non era e stolto neppure fece mostra d'entusiasmo..
Fosse stato possibile irromper d'impeto a palazzo, la questione sarebbe stata risolta in un momento: ma i necessari preparativi richiesero tempo e così, pur cogliendo il successo, fummo coglionati.
Fabio Massimo fu re senza spargimento di sangue, ma senza il becco di un quattrino, imperocché  la mummia e tutti i suoi tesori s'eran dileguati per un passaggio segreto. I dettagli ci furon rivelati da una spaurita e graziosa giovinetta che, per quanto ne so, tuttora presta servizio nella dimora reale, presumo con maggior soddisfazione che in passato.

Quel giorno stesso fui capitano della guardia, non tanto per virtù mia quanto per il buon cuore di Carlo, che assunse il comando dei Montesa e lasciò a me l'alloggio di servizio.
Di quelle stanze ne avevo un gran bisogno, essendo fuor discussione ch'io potessi acquistar casa e assai disdicevole che continuassi a sperperar li liquidi in taverna; però, in quei primi tempi, fui guerriero senza riposo.

Dapprima dovetti occuparmi delle requisizioni in danno del Carpegna, poi il Condè mi segnalò che i Portoghesi gli chiedevano assistenza per l'impresa di Braganza.
La gran calura  ed il delicato momento politico non eran, per noi, propizi alla spedizione, ma il nuovo ruolo pubblico impediva, a me personalmente, di defilarmi.

Senza gran convinzione affidai ad un banditore la mia richiesta di volontari, ed il risultato fu doppiamente sorprendente: ne accorsero in buon numero e, anziché i compagni di sempre, si trattava di reclute della milizia.
L'unico volto vagamente familiare era quello del giovane Teobaldo,  parente ed erede di un amico  passato a miglior vita. Era sicuramente l'elemento più dotato e meglio equipaggiato, ma le sue scarpe stavan cadendo a pezzi e dovetti passargli quelle mie.
Quel contingente improvvisato mi avrebbe riempito d'orgoglio: fu il più rapido a schierarsi in campo, si batté con efficacia, e uscì dalla prova con modestissime sofferenze.
Io spacciai senza gran fatica il mio paio di buzzurri, ma di tal risultato non meno gran vanto.
Vero trofeo della giornata fu l'arruolamento dei Varano in nostra armata.

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Alberto

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Re: Memorie di un bastardo
« Risposta #1 il: 01 Gennaio 2013, 09:46:53 pm »
La saga Gdr prosegue fino ad oggi

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Poco ho da aggiungere alle cronache ufficiali sulla rivolta contro il Carpegna.

La mummia incoronata avea passato il segno, e se non lei i loschi figuri che ancora  la animavano.
Noi Montesa forzammo la volontà del nostro Gran Maestro acciocché sottraesse lo scettro a tanta putredine, il popolo tutto si unì alla nostra prece, e persino il giudice, il direttore dell'accademia ed il Vassallo di Valencia si schierarono con noi.
Quest'ultimo, ritengo, ci seguì a malincuore, avendo divisato  di poter esser egli stesso a risollevare i nostri destini, ma poiché pronto non era e stolto neppure fece mostra d'entusiasmo..
Fosse stato possibile irromper d'impeto a palazzo, la questione sarebbe stata risolta in un momento: ma i necessari preparativi richiesero tempo e così, pur cogliendo il successo, fummo coglionati.
Fabio Massimo fu re senza spargimento di sangue, ma senza il becco di un quattrino, imperocché  la mummia e tutti i suoi tesori s'eran dileguati per un passaggio segreto. I dettagli ci furon rivelati da una spaurita e graziosa giovinetta che, per quanto ne so, tuttora presta servizio nella dimora reale, presumo con maggior soddisfazione che in passato.

Quel giorno stesso fui capitano della guardia, non tanto per virtù mia quanto per il buon cuore di Carlo, che assunse il comando dei Montesa e lasciò a me l'alloggio di servizio.
Di quelle stanze ne avevo un gran bisogno, essendo fuor discussione ch'io potessi acquistar casa e assai disdicevole che continuassi a sperperar li liquidi in taverna; però, in quei primi tempi, fui guerriero senza riposo.

Dapprima dovetti occuparmi delle requisizioni in danno del Carpegna, poi il Condè mi segnalò che i Portoghesi gli chiedevano assistenza per l'impresa di Braganza.
La gran calura  ed il delicato momento politico non eran, per noi, propizi alla spedizione, ma il nuovo ruolo pubblico impediva, a me personalmente, di defilarmi.

Senza gran convinzione affidai ad un banditore la mia richiesta di volontari, ed il risultato fu doppiamente sorprendente: ne accorsero in buon numero e, anziché i compagni di sempre, si trattava di reclute della milizia.
L'unico volto vagamente familiare era quello del giovane Teobaldo,  parente ed erede di un amico  passato a miglior vita. Era sicuramente l'elemento più dotato e meglio equipaggiato, ma le sue scarpe stavan cadendo a pezzi e dovetti passargli quelle mie.
Quel contingente improvvisato mi avrebbe riempito d'orgoglio: fu il più rapido a schierarsi in campo, si batté con efficacia, e uscì dalla prova con modestissime sofferenze.
Io spacciai senza gran fatica il mio paio di buzzurri, ma di tal risultato non meno gran vanto.
Vero trofeo della giornata fu l'arruolamento dei Varano in nostra armata.

Non so come altri facciano ad ammassare ingenti fortune ma, se pur ogni moneta da me s'invola, in altro senso traboccavo di ricchezze.

L'amicizia è comunque tesoro, ma niun s'offenda se affermo che quella dei sovrani riesce particolarmente preziosa. Già ne potevo  vantare due fra i vecchi amici, e se ne aggiunse un terzo quando l'Insondabile assunse il  Magistero dell'Ordine Teutonico. V'era  qualche possibilità che ne spuntasse persino un quarto, ma di questo dirò poi. Altre  teste coronate, che conoscevo men bene,  le potevo  trattare con la familiarità riservata ai commilitoni.

Mi ritrovai da un giorno all'altro Duca di Tortosa,  onor che mi sorprese, e difettandomi  blasone di antica tradizione dovetti commissionarne in tutta fretta uno acconcio.

Scelsi il per le mie armi il “bastardo rampante”, un levriero di spada armato che i dettagli rivelano come di razza non pura:   simbologia che palesava  senza infingimenti tutto ciò che v'era da sapere sul mio conto, risparmiando a me e ad altri diverse fatiche.

http://rpforum.medieval-europe.eu/index.php?action=profile;u=5621

Sul finire di quell'estate ebbi il privilegio di avviare l'ambiziosa campagna di riconquista che avrebbe coinvolto  i guerrieri ed i sovrani di tutta la lega iberica.
Nel comando di tale impresa  mi sarei alternato con Matthias Fieschi, duca di Gandia,  già mio buon  compagno di addestramento ad Avranches.  In quei giorni, per il vero, non era stato di grande compagnia, perché avea  tresca con una dama  e se ne fuiva con  lei ogni due per tre.  Però fui  lieto di rivederlo,  avevamo perfetta sintonia di vedute e  mi sostenne quando, con più foga che garbo, mi rifiutai di sottoporre l'armata al calvario delle marce forzate.

Furon giorni di sudore e sangue, e fummo testimoni delle virtù guerresche della regina e dei tre re che seguivano l'armata. L'arazzo che or li ritrae soli e trionfanti sovra gran catasta di cadaveri non rende piena giustizia allo svolgimento dei fatti, ma su tal dettaglio è prudente sorvolare.

In realtà nessuno si risparmiò, e taluni si batterono con tal  foga da rendere superfluo l'intervento delle riserve. Nelle prime giornate Teobaldo ebbe a lamentarsi di consumare indarno le  scarpe,  poi  anche lui ebbe modo di incedere qual tristo mietitore.
Non inseguii la gloria negli scontri individuali, ché non è questo che si chiede al condottiero, ma anche così il mio  spadone di recente fattura prese presto sembiante di vecchia sega stortignaccola.
Toledo fu quasi fatale a Matthias, e Cuinca a me; il sangue nostro e del ribelle parimenti ci
 arrossarono la pelle, qual gabella finale per  cotante vittorie.


Coi primi giorni d'autunno iniziò la migrazione degli augelli, che se ne andavano, e quella de' prelati, che s'en venivano.
L'una cosa offriva visuali interessanti ne' cieli, l'altra visuali sconfortanti in terra. Uscito  da San Miguel, ove la spiritualità era povera e sincera, poco amavo i prelati in cerca di carriera, ed ancor meno amavo i tanti che presero a corteggiarli più per calcolo che per fede.

Un buon prete l'avevo incrociato nelle Fiandre, e stranamente ne prese il trono, un altro lo avevo visto di passaggio a Valencia, pria che gettasse  tonaca alle ortiche e poi si impiccasse per vergogna. Tutti gli altri poco li calcolavo, non ravvisando in loro le virtù de' monaci fra cui ero cresciuto, e assai poco apprezzando  discordia e rivalità in nome di Theos.

Infine sapevo pure i guasti dello zelo religioso sull'educazione giovanile,  almeno quanto a conoscenza di donne e di danaro. La prima nozione che ne ebbi era che le une e l'altro mi avrebber portato a rosolar negli inferi. In qualche modo parea  preferibile la prima via, in quanto passante fra delizie imprecisate, ma durai fatica a penetrar le oscure allegorie de' cantici proibiti.
Quando tutto mi fu più chiaro, compresi che se Donna è cerbiatta l'uomo è sicuramente cervo, che cerca la pugna quando gli cresce il palco in sulla testa, ed anco questo contribuisce a grigliata mista del demonio.

Essendomi ristabilito partii nuovamente per l'Italia. Rividi Orvieto, e vi entrai con armata che la prese senza dar battaglia; avrei dovuto anche partecipar ad una seconda impresa, ma sonno mi vinse a Roma e persi l'ultimo imbarco.
Maggior gloria  ricavai dalla battaglia di Zamora, ove feci discreto carnaio combattendo ancora agli ordini del buon Duca di Gandia..


Scoprii che un blasone apre molte porte salvo, forse, quelle che preferisci lasciar serrate.

Molti nobili or mi invitavano alla caccia, ma io inventavo scuse e me ne andavo a pesca, giacché reputavo più onorevole agir da fesso che ne attende altri, piuttosto che armarsi come San Giogio per affrontare daino o altra bestiola. Carne e insaccati ne mangio assai di gusto, ma tuttora preferisco che altri li mettano in mio piatto.

Altro trastullo che mi mettea disagio era quell'incessante discettar d'Amore, secondo usi di corte  invalsi in altre contrade.
Quelle rime ignoravano l'amore coniugale, che poco ispira il poeta imperocché troppo simile all'affezione per le proprie ciabatte,  preferendo esaminare  ipotesi  più stimolanti; il che non mancherebbe di interesse, se  non fosse vano cianciar di colui che va sovente in bianco..

Debbo ammettere però, con imbarazzo, che la moda del verseggiar cortese mi fe' venir  la tentazione di imitare i versi di quel nasuto di Toscana, che incessantemente sua dolcissima Beatrice declamava, dimentico del fatto che  sua non era, e punto lo cagava.
Però di costui mi mancava l'attitudine di pettegolo e babbeo nonché - mi duole il dirlo - la disinvolta maestria con le parole; per farla breve, il risultato di mio sforzo fu si tristo, che meglio figurai con l'occorrente per il fritto misto.


Mille e più anni addietro si interpretava il fato frugando nelle viscere dei polli poi, facendo questa cosa un poco schifo, si preferì l'uso orientale di trarre auspici osservando il corso degli astri, pratica che non imbratta le dita ma espone al rischio di torcicollo e infreddature notturne.
Quale che sia il metodo prescelto, la divinazione è costume  pagano  che fa insulto a Theos ed all'umana intelligenza, e assai mi duole il vedere che troppi ancora vi ricorrono nel quotidiano.

Quando affermo che mio destino fu influenzato da una stella cadente nulla concedo alla falsa scienza degli astrologi, perché invero parlo per metafora.
Stella cadente era, o appariva allora, quell'Insondabile  che, dopo aver cinto persino una corona, tutto avea mandato a funzioni di intestino per venirsene in Aragona con uno de' suoi più stretti collaboratori.
Si offrì di rilevare mia sartoria e fu così che, lasciando l'arte del taglio e cucito a colui che ne era indiscutibile vero maestro,  mi accostati a quella della forgia.
Per ragioni che non so alcuni amici che mi avean preceduto in quel mestiere eran scomparsi anzitempo, quindi il mio primo passo fu energica frizione su parti che non dico; ciò fatto cercai di onorarne la memoria col buon lavoro.

I frutti delle mie novelle fatiche vennero  messi alla prova con soddisfazione nella campagna d'ottobre sul confine orientale. Men soddisfatto fui della prova di me stesso,  in quanto venni ripetutamente gonfiato similmente a zampogna. Una volta mi vinse il numero, l'altra una sorta di montagna in forma umana, che però né uscì sì male da cadere al primo tocco di una dama.

A consolarmi un poco giunse novella che, a dispetto della recente e opaca prestazione,  il mio nome iniziava ad esser celebrato infra quello dei più valenti cavalieri dell'orbe conosciuto.


Vi son  reggenti  buoni solo ad imporre dazi e gabelle, mentre loro araldi gridano che cotesta cosa è per il bene del reame. Eseguita cotal rapina a detrimento de' più miseri, si attaccano alle casse del tesoro come porcelli alle sise della scrofa, e come loro non se ne staccano sino a che non le abbian ben svuotate. Quando più nulla resta a succhiare, corrono ai ripari ripetendo l'anzidetta procedura.

Re Fabio non apparteneva a tale vil genìa, e nemmeno noi che facevamo parte del suo seguito; uno solo fu tentato di commetter ruberie, ma gli facemmo intendere subito che dovea mutare attitudine, e divenne persona irreprensibile.
Per il vero non v'era poi molto da sgraffignare, avendo il Carpegna lasciato i forzieri del regno in condizioni che ricordavano mie tasche, il che non lasciava troppa trippa per il micio.

Se il contante facea difetto, non ci difettava la buona volontate. Tutti i notabili d'Aragona si adattarono a sgobbar come forzati ed a rimetterci del proprio, donando materiali e giornate di lavoro., pur di erigere quelle opere che nol si sarebbe potuto pagare. L'essere divenuto capitano, fabbro, duca e campione non mi esentò dal faticar come l'ultimo peone, anzi di più perchè al poveretto non si sarebbe chiesto di lavorar senza giusta mercede. E questo era ancora poco, a paragone dell'impegno di chi, con ostinazione tutta teutonica, interamente si spendea per realizzare in proprio i progetti meno urgenti.

Fortuna volle che, in quei giorni di grande sforzo e modesta paga, riuscii ad avviare proficua collaborazione con un copista straniero, il che mi fruttò qualche  quattrino raccogliendo i pensieri mentre corpo sudava.

Dopo l'inaugurazione del palazzo cardinalizio mi concessi  breve crociera in piacevole compagnia, associando allo svago la sistemazione di alcuni affari. Nostra allegra comitiva rischiò di provocare un  incidente diplomatico quando sommergemmo di letame un palazzo reale: il buio era fitto, non v'era fiamma di fiaccola o di legna, sembrò malizia ma fu errore di consegna.


Le superstizioni pagane che han trovato dimora anche fra i credenti in Theos, complice l'assenza di doverosa reprimenda delli ommini di chiesa, annoverano anche credenza assai curiosa.
Onne vivente sarebbe  un morto che in passato fu qualcun altro e poi, non essendo degno di sonare l'arpa nell'orchestra celeste, dopo il trapasso  viene rispedito fra noi per vedere se fa meglio.
Cotal castroneria è di molto consolante, giacchè chiunque vi creda afferma d'esser stato Re o Regina, o poco meno, anco se ora è pezzente che stenta a coniugar pranzo con cena. Niuno, invece, vanta ricordi di miserevole sfiga, per cui devesi ritenere che ne' tempi andati tutti cingessero corona,

Per il vero, secondo tale teoria, si potrebbe benissimo anche esser stati bestia d'ogni tipo, ma questo pochi il rammentano volentieri.
Se tal cosa fusse veritate, in vita passata io sarei stato processionaria del pino, poiché dell'orrido parassita conservo appieno le attitudini e ne faccio vanto.

Poco somiglio a verme grasso e peloso – spero mi concediate questa vanitate -, ma meglio di lui sapevo devastar foresta in pochi giorni: in più, non essendo verme ma creatura atta a maneggiar anco il piccone, parimenti devastavo in poco tempo onne miniera di metallo  o cava di pietra.

Ero divenuto fabbro ed  armaiolo per il bene del regno, ma di tal cosa male si campa se il si fa precipuamente per servizio. Fu l'appalto per la fornitura di materiali vari che, grazie al buon Enrico,  mi consentì d'accantonare in fretta discreti risparmi; ed anco un poco la mancanza di tentazioni, giacchè per servir lui vissi come romito in luoghi che i più rifuggivano.


Il clima ed i paesaggi delle Fiandre  son più adatti ai ranocchi che alle genti del Mediterraneo,   il che sicuramente favorisce strani amoreggiamenti con dame credulone, ma debbo confessar che pur non essendo batrace quei luoghi sempre mi portarono fortuna.

Mancandomi la predetta qualitate, le mie non furon fortune d'amore ma d'altro genere.
Quando vi giunsi da migrante in primavera, riuscii ad accumulare effimera ricchezza; in più, combattendo sotto il vessillo del conte Desains, colsi il mio primo grande successo individuale,   abbattendo quattro ribelli per conquistargli  una preziosa cava di pietra,
L'impresa mi costò una buona spada, ma poco tempo dopo mi riuscì di rivendere il pietoso rottame ad una dama di Savoia, conseguendo un inaspettato successo commerciale.

Quando vi tornai a metà dell'autunno seguente, unica mia motivazione era il rendere omaggio al nuovo Conte Harald Magnusson, cui dovevo immensa gratitudine per una serie di benefizi e buoni consigli che sarebbe  tedioso elencare compiutamente; vi basti sapere  che grazie a lui ed alle di lui attrezzature avevo scoperto i piaceri della pesca in alto mare, da cui ancor oggi ricavo grandi soddisfazioni  se altre urgenze me ne lasciano il tempo.

In quella seconda visita non fui solo, ma solo il primo, giacché molti altri vennero da Aragona e Castiglia, ed altri reami ancora, per sostenerlo nella brillante campagna con cui in pochi giorni raddoppiò l'estensione della Contea.
Nelle prime giornate feci ben poco, salvo imparare il mestiere d'infermiere e compiacermi pel rendimento di mie alabarde in mani altrui. In seguito feci discreto carnaio, seppure a prezzo di non indifferenti sofferenze mie. Le vittorie conseguite in detti scontri mi valsero la seconda decorazione sul campo, quella riservata a quanti si lasciano alle spalle vero fiume di sangue.

Tale onore mi avrebbe maggiormente compiaciuto se il sangue mio non si fosse abbondantemente mescolato a quello degli avversari. Ad evitar il ripetersi del doloroso inconveniente chiesi un anticipo alla stamperia, denaro che presto sarebbe trasmigrato nella scarsella  di un buon addestratore.


A colui che voglia acquisir possanza di toro, tre sole cose occorrono: denaro, tempo, e cervello di gallina.
Col denaro ei si paga chi lo addestra, oltre ad alimentazione adeguata a regger lo sforzo; el tempo gli occorre per ripetere innumere volte esercizi sempre uguali; il cervello di gallina gli sarà d'ausilio per  non essere vinto dalla noia infinita che accompagna il tutto.

Meno tempo occorre a colui che si avvalga di strani intrugli che affrettano il risultato, ma a vero dire costui avrà  una possanza non di toro ma di bove; il risultato finale parrebbe eguale,  ma egual non è per chi voglia preservar anco le funzioni de' pendagli suoi.

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Alberto

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Re: Memorie di un bastardo
« Risposta #2 il: 01 Gennaio 2013, 09:51:10 pm »
L'addestramento per diventar più destri vi somiglia solo alla lontana. Tempo e denaro vi svolgono identica funzionalitate, ma qui occorre testa da volpe o da lione. V'è ripetizione di fatica ma non di gesti, perchè una volta zompi quale grillo, l'altra strisci quale serpe, poi ti capita di correr dritto scansando sacchi dondolanti, e infine ti ritrovi innanzi un che ti mostra come li miglior colpi tuoi sian  sforzi di bimbo che mena fendenti con una canna.

Altro non dirò, salvo che quasi non mi accorsi del mutar della stagione: il freddo era respinto dallo calore mio, le gocce di pioggia indistintamente si mescolavano al sudore. Mi mancavano anco le  conversazioni serali in taverna, or che vi entravo sol per cader sul giaciglio come corpo morto cade.

Avrei proseguito sino a svuotarmi la scarsella, condizione a me non nuova, ma poco dopo il termine di un ciclo dovetti accorrere in soccorso di una città straniera.
Ciò mi valse occhiatacce da chi disapprovava tale mia nuova impresa, e  mi fruttò poca gloria e punto onore; in quel luogo vincemmo facilmente, ma sol perché gli avversari eran pochi ed il grosso sbarcò altrove, astuzia che ci finì nel posteriore.

Di quelle giornate due sole cose sempre ricorderò. La prima è il freddo intenso patito durante la navigazione, la seconda la calda accoglienza di una nobil dama. Se ancor mi legge  si riconoscerà in tale breve menzione, e non compete ad altrui saper chi Ella fosse.


In quell'anno il vento si portò via, con le foglie gialle, anche lo spirito di un principe della Chiesa.
Molti si recarono a Parigi per rendergli l'estremo omaggio, e molti altri iniziarono a cianciare che il triste evento era presagio dell'imminente fine del mondo.

I profeti di sventura, al solito, non ci colsero: la data fatica trascorse senza che il cielo ci cadesse sulla testa, senza che i morti sorgessero dalle tombe, senza che iniziasse una lotta senza quartiere con i giganti del ghiaccio o con i demoni delle sabbie.
Il temuto Armageddon distribuì a casaccio gioie e dolori, e segnò l'esistenza di chi ne venne toccato in modo particolare, confermando in tal modo la sua natura di giorno non diverso dagli altri.

Meno bene andò per gli animali da cortile, che in quel periodo furono macellati in quantità; ma neanche il porco potrebbe vedervi conferma dell'oscura profezia, giacché tal consuetudine  sempre si ripete quando la stagione ci rende incomodo lo scannarci fra di noi..

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Sempre caro mi fu quel lento scivolar di veglia in sonno che chiude le fatiche di lavoro, di desco, o di peccato. E sempre detestai quel grappolo di feste a cavaliere fra due anni, le quali ne contrastano la naturale progressione.

Fintanto che vissi a  San Miguel, dovetti simular grandissima partecipazione alle noiosissime veglie di preghiera che i frati ritengono acconcie all'occasione; il miglior partito era finger d'esser desto, borbottando a caso desinenze latine mentre l'occhio si chiudeva per Morfeo, e non per devozione.
Restituito al secolo non mi andò meglio, perché scoprii che occorreva fingere immensa allegrezza tutta notte appresso a giuochi e danze di immensa stupiditate, il che non mi dava maggior soddisfazione del recitar salmi.

Per solito mi adattavo alle convenienze del momento, ma quell'anno malumore prese il sopravvento.

Fui sgomento nel sapere che un manipolo di  cavalieri, cui m'ero affiancato in varie gloriose imprese, s'eran comportati da ladri di galline devastando il pollaio dei Gallesi.

Il proditorio attacco in danno di innocenti inermi mi parve quel genere di cimento che vino ispira alle bande di bulli de' bassifondi, e grandemente mi vergognai di esser annoverato fra i lor  compagni di precedenti avventure. Onde evitar che le libagioni ispirassero anche a me pensieri felloni, sdegnai il calice e mi coricai incupito.


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