Wow, troppoa grazia...
in effetti, ho una predisposizione a cercare di vedere nei miti delle "avventure dello spirito", dei cammini evolutivi e di conoscenza. E questo potrebbe anche essere fuorviante.
Ma la dialettica tra funzione teleologica ed eziologica mi spinge a chiederti cosa pensi della funzione che svolgevano le storie mitiche per le popolazioni che le hanno prodotte.
Praticamente: secondo te, cosa se ne facevano dei loro miti? Che valore avevano nella loro vita e nella loro visione del mondo?
Domanda non da niente, lo riconosco... ma se non ti fa perdere troppo tempo mi farebbe piacere sapere cosa ne pensi (/pensate, oh voi, silenti visitatori!)
Grazie per le segnalazioni!
Buon week end!
Eh...domanda da niente proprio...
Cosa rappresenti il corpus mitico per il gruppo umano, è una tematica veramente al centro di dibattiti fortissimi. Senza toccare le correnti, ti do il mio (parziale e sempre in evoluzione!) punto di vista.
I racconti mitici sono in primo luogo narrazioni eziologiche; considera che il finalismo, la salvezza, la predestinazione alla grazia...sono tutti concetti nati neanche con la predicazione di Gesù, ma con la strutturazione dell'apparato teologico del Cristianesimo.
Faccio un inciso: come diceva Montanelli, anche il più ateo tra di noi è profondamente cristiano, culturalmente cristiano; al punto di aver assunto strutture di indagine intellettuale inscindibili dall'influenza storica del Cristianesimo (questo lo aggiungo io, e sotto spiego perchè).
Noi siamo culturalmente condizionati a
intelligere scopi e finalismi dietro a ogni angolo; per noi, il Diluvio Universale è la punizione mandata da Dio per il comportamento scorretto dell'uomo. Di questo, dobbiamo ringraziare 2000 anni di preminenza culturale della Chiesa Cristiana.
Prima della teologia cristiana e nei gruppi umani antichi, che ci hanno lasciato sufficienti testimonianze, non esiste affatto tutta questa attenzione alle dottrine salvifiche o finalistiche; non esiste, a dirla tutta, una vera e propria dimensione
teologica nelle religioni antiche: in parole semplici, non sembra esistere la riflessione filosofica sulla religione. Esiste la religione (culto e organizzazione) e il complesso mitico, nient'altro.
In un contesto che non prevede finalismi accentuati o meccanismi salvifici di sorta, i corpi mitici assumono prevalentemente la funzione di spiegare il mondo "per-come-è". Dare un sostrato narrativo, e quindi facilmente comprensibile e memorizzabile, alla legittimazione del mondo per come è.
Non è banale come sembra. In realtà, questa risposta eziologica nasce da una domanda fortissima di sapore esistenziale: cosa è questo mondo? Perchè è così strutturato? Cosa ci facciamo noi, qui?
Mia visione personale, è che in fondo la risposta eziologica (il mondo è "ciò-che-è") rappresenti una anticipazione millenaria dell'esistenzialismo novecentesco.
Chioso con una considerazione di Sartre che ben s'adatta, secondo me, alla questione: l'uomo è contemporaneamente agente e vittima della dialettica dei suoi bisogni. Perchè, quindi, non estendere questo tipo di lucida analisi anche al mito?
Il mito non potrebbe essere, contemporaneamente, frutto e orientamento dei bisogni della comunità in cui si sviluppa? Della sua domanda esistenziale?
Adesso sì, che sono sicuro di avervi incasinato ancora di più i concetti, e ne sono contento!